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Affidamento Condiviso Bigenitoriali e la Legge 54 del 2006

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L’affidamento condiviso: la legge 54 del 2006 a cinque anni dall’entrata in vigore.

Breve riflessione sulla ratio e sui presupposti culturali e sociali della legge 54 2006 in materia di affidamento condiviso a cinque anni dalla sua entrata in vigore. La legge 54/2006 è il primo tentativo organico di innovare alcuni aspetti del diritto della famiglia: il regime di affidamento dei figli in caso di separazione è uno dei punti principali. L’introduzione del regime di affidamento condiviso è stato considerato come un radicale cambio di prospettiva rispetto alla norma precedente (affidamento esclusivo ad uno dei coniugi.. la madre) e, nello stesso tempo, introduttivo del concetto di bi-genitorialità: tutto in funzione della tutela del preminente interesse del bambino, in primo luogo ad una famiglia, e nel caso della separazione, almeno, a due genitori in grado di poterlo essere a 360 gradi.

L’effettiva portata della legge 54/2006

A distanza di oltre cinque anni dall’entrata in vigore della legge n.54/2006 non poche sono le riflessioni, provenienti dal più ambiti, sull’effettività della sua applicazione., non tanto nel senso di applicazione “formale” della nuova disciplina quanto, piuttosto, di applicazione in senso “sostanziale”.

In particolare, l’evidenza per “l’operatore avvocato” è quella di una scarsa comprensione della reale portata di tale provvedimento normativo rispetto al condizionamento – ben difficile da superare – di un retaggio sociale di tutt’altra natura.

Affidamento condiviso e bigenitorialità

In effetti, la portata innovatrice di tale norma, risiede principalmente proprio nell’aver posto in una nuova prospettiva il concetto di affidamento della prole: tuttavia, tale profonda innovazione, si è scontrata con un consolidato “sentire sociale” di tutt’altra impostazione. Prima dell’entrata in vigore della legge n.54, infatti, la “tradizione” vedeva – in sintesi – come aspetto centrale ed ineludibile nei procedimenti di separazione personale (con prole) la compressione della figura genitoriale del coniuge non affidatario (la normalità era costituita dalla modalità di affidamento esclusivo – pressoché sempre alla madre) al quale veniva riservato un diritto/dovere di visita nei confronti della prole, a fianco del quale veniva a collocarsi la nascita di un’obbligazione al mantenimento.

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Tuttavia è bene ricordare che, per il contesto italiano, i concetti “separazione dei coniugi”,”divorzio”, “convivenza more uxorio” sono, in effetti, recenti: basti pensare che prima del 1975 (riforma del diritto di famiglia) la convivenza more uxorio (senza la celebrazione di un matrimonio) era addirittura assimilata ad un vero e proprio reato. Il 1975 poi, non è così lontano dall’esistenza di una percezione della famiglia ancora – se vogliamo – arcaica e che già si era scontrata con le spinte evolutive derivanti dalla modernizzazione a tappe forzate del paese (e del tessuto sociale) caratteristica del dopo guerra.

I ruoli genitoriali nel contesto sociale

I figli alle madri – uniche a poterli “accudire” – è anche il frutto di una società in cui il ruolo della donna è ben lungi dall’essere realmente paragonabile a quello dell’uomo (e nonostante gli sforzi tale affermazione vale anche oggi): dietro l’angolo ci sono gli spaccati di vita narrati da Pasolini (Una vita violenta, 1959) o è ancora possibile trasportare nel quotidiano frasi come quelle di Khaled Hosseini: “..una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte nel mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo, si raccoglievano a formare le nubi e po si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente” (Mille splendidi soli – 2007). In “armonia” la disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche altri casi, a rappresentare costantemente lo sforzo del legislatore nel bilanciare modelli culturali antichi e radicati con l’evoluzione (necessaria) del gruppo sociale.

©Studio Legale Paternostro 2009-2017

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